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Autore Ladri di Biciclette: capolavoro?
Daniel


Reg.: 14 Feb 2003
Messaggi: 4301
Da: Nuoro (NU)
Inviato: 15-09-2003 19:49  
Ilaria concordo (come sempre ) e fassbinder finalmente un mnuovo utente degno di nota ... grande ...
Per ricollegarsi al Neorealismo ... non nego l'importanza storica dei film di De Sica ma credo che il pregio sta più nella genialità di Zavattini che nella 'statica' regia del Vittorio nazionale (ma queste ovviamente sono opinioni puramente personali) ... tutt'altra cosa è la trilogia della guerra di Rossellini (Roma città aperta, Paisà e Germania anno 0) forse il neorealista per eccellenza che ha saputo mescere immagini e storie riportandoli a un visione estremamente realista ... e cito anche La terra trema di Visconti un vera summa dei criteri neorealisti

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fassbinder

Reg.: 29 Ago 2003
Messaggi: 1335
Da: reggio emilia (RE)
Inviato: 17-09-2003 11:15  

ho sbagliato thread

[ Questo messaggio è stato modificato da: fassbinder il 17-09-2003 alle 11:16 ]

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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 17-09-2003 12:52  
A parte le emozioni che mi ha trasmesso questo film, credo si tratti di un film epocale perchè non parte da una posizione ideologica ma da un problema vero della gente di quell'epoca.

La regia è semplicemente eccezionale: è entrata nella storia l'ultima scena, quando il protagonista è a lungo incerto se rubare meno una bicicletta; il gioco di sguardi, il montaggio di quella scena è clamoroso e denota la sconfitta del padre schiacciato da una realtà più grande di lui.

Lo considero superiore a Roma città aperta ,alla pari con Paisà, Umberto D. e Sciuscià.

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OneDas

Reg.: 24 Ott 2001
Messaggi: 4394
Da: Roma (RM)
Inviato: 17-09-2003 12:57  
La dico grossa: penso che il Ken Loach di Piovono pietre o Riff Raff abbia visto molto di De Sica
_________________
tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore ?

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Schizobis

Reg.: 13 Apr 2006
Messaggi: 1658
Da: Aosta (AO)
Inviato: 10-10-2006 14:48  
LADRI DI BICICLETTE di Vittorio De Sica 1948 (la realtà dell’Italia del dopoguerra ovvero i bambini ci guardano)

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”

Ancora oggi, dopo quasi sessanta anni dalla sua uscita, questo film mantiene intatto il fascino e la potenza lirica che lo contraddistinguono. E pensare che quando comparve nelle sale, i critici lo stroncarono come vergogna dell’Italia (perché, come diceva il grande castigatore Minosse Giulio Andreotti, “i panni sporchi si lavano in casa”) salvo poi rivalutarlo un anno dopo, quando l’Academy Awards gli consegnò l’ambito riconoscimento dell’Oscar come miglior film straniero.
Perché Ladri di Biciclette funziona? Perché attraverso una storia molto semplice (il furto di una bicicletta si trasforma, per il neoassunto attacchino Antonio, in qualcosa di esiziale perché determinerebbe la perdita irreversibile di un lavoro atteso per ben due anni) viene costruito dalle mani sapienti di Cesare Zavattini e altri cinque sceneggiatori (tra cui lo stesso De Sica e Suso Cecchi D’Amico) un apologo perfetto sulle difficoltà esistenziali e i grandi problemi occupazionali nell’Italia del dopoguerra. Lo sguardo è lucido e impietoso (e solo raramente scade nel retorico): in questo girovagare peripatetico per le strade di una Roma ancora diroccata e ferita, Antonio e il figlioletto Bruno incontrano ostacoli e ostilità. I poteri costituiti, lo Stato con la sua polizia inefficiente e la Chiesa con la sua solidarietà da Pie donne della Domenica, non fanno che isolare i nostri due protagonisti. Il ritratto della nostra Italietta tra orrore e folclore è completato dalla rappresentazione della domenica calcistica (fatta di commenti e di folla allo stadio) e del ricorso all’irrazionale quando le cose si mettono male (con la splendida scena della maga sorniona che risponde alle richieste sul destino della bicicletta rubata con un tragicomico :”O la trovi subito, o non la trovi più!”). Un'altra dimensione da sottolineare è quella della folla: asfissiante, terribile.
Che si aspetti la propria chiamata al collocamento, che si salga su un autobus o si esca da uno stadio, che si guardi una buffa rappresentazione teatrale o si difenda un manigoldo dalle giuste accuse di furto, la sensazione è di soffocamento e di annullamento della personalità. Antonio non vuole essere folla, vuole un lavoro proprio per uscire ed emergere da questo magma fluttuante e mediocre (a volte davvero spietato) e quella bicicletta è indispensabile per attaccare i manifesti di Rita Hayworth ai muri e vivere decentemente. I sogni di Antonio riassunti in quel conteggio di paghe e straordinari fatte in trattoria con il figlio Bruno (sotto l’occhio supponente e razzista del bambino ricco che mangia la mozzarella in carrozza) si stanno volatilizzando per il gesto di un altro disperato, povero ed epilettico, protetto perfino dalle prostitute in una “casa chiusa”. Senza la bicicletta i sogni si stanno scollando pezzo a pezzo dai muri, come manifesti appiccicati male.
La bravura degli sceneggiatori è la costruzione a piramide del film tutta convogliata nel giustificare in parte il gesto disperato dell’uomo e nello spostare il punto di vista sugli occhi del figlio.
Lo sguardo del piccolo Bruno (che la mdp segue da sinistra verso destra in maniera impeccabile) che registra il patetico furto del padre e il successivo linciaggio della folla (The Crowd ultimo film muto di King Vidor del 1928 è la fonte di ispirazione di De Sica sia per Sciuscià che per Ladri di Biciclette) è uno dei momenti più alti di tutto il cinema del dopoguerra. De Sica non è Rossellini, naturalmente. Ma in questo film è perfetto.
Alberto Sordi doppia il verniciatore di biciclette a Porta Vittoria.
Determinante la scelta di affidarsi ad attori non professionisti, sostituendo Cary Grant con Lamberto Maggiorani e utilizzando il piccolo Enzo Staiola in maniera cinica (sul set venne fatto piangere sul serio da un irreprensibile e determinato Vittorio De Sica).

_________________
True love waits...

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Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
Messaggi: 2533
Da: Genova (GE)
Inviato: 14-05-2008 14:56  
quote:
In data 2006-10-10 14:48, Schizobis scrive:
LADRI DI BICICLETTE di Vittorio De Sica 1948 (la realtà dell’Italia del dopoguerra ovvero i bambini ci guardano)

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”

Ancora oggi, dopo quasi sessanta anni dalla sua uscita, questo film mantiene intatto il fascino e la potenza lirica che lo contraddistinguono. E pensare che quando comparve nelle sale, i critici lo stroncarono come vergogna dell’Italia (perché, come diceva il grande castigatore Minosse Giulio Andreotti, “i panni sporchi si lavano in casa”) salvo poi rivalutarlo un anno dopo, quando l’Academy Awards gli consegnò l’ambito riconoscimento dell’Oscar come miglior film straniero.
Perché Ladri di Biciclette funziona? Perché attraverso una storia molto semplice (il furto di una bicicletta si trasforma, per il neoassunto attacchino Antonio, in qualcosa di esiziale perché determinerebbe la perdita irreversibile di un lavoro atteso per ben due anni) viene costruito dalle mani sapienti di Cesare Zavattini e altri cinque sceneggiatori (tra cui lo stesso De Sica e Suso Cecchi D’Amico) un apologo perfetto sulle difficoltà esistenziali e i grandi problemi occupazionali nell’Italia del dopoguerra. Lo sguardo è lucido e impietoso (e solo raramente scade nel retorico): in questo girovagare peripatetico per le strade di una Roma ancora diroccata e ferita, Antonio e il figlioletto Bruno incontrano ostacoli e ostilità. I poteri costituiti, lo Stato con la sua polizia inefficiente e la Chiesa con la sua solidarietà da Pie donne della Domenica, non fanno che isolare i nostri due protagonisti. Il ritratto della nostra Italietta tra orrore e folclore è completato dalla rappresentazione della domenica calcistica (fatta di commenti e di folla allo stadio) e del ricorso all’irrazionale quando le cose si mettono male (con la splendida scena della maga sorniona che risponde alle richieste sul destino della bicicletta rubata con un tragicomico :”O la trovi subito, o non la trovi più!”). Un'altra dimensione da sottolineare è quella della folla: asfissiante, terribile.
Che si aspetti la propria chiamata al collocamento, che si salga su un autobus o si esca da uno stadio, che si guardi una buffa rappresentazione teatrale o si difenda un manigoldo dalle giuste accuse di furto, la sensazione è di soffocamento e di annullamento della personalità. Antonio non vuole essere folla, vuole un lavoro proprio per uscire ed emergere da questo magma fluttuante e mediocre (a volte davvero spietato) e quella bicicletta è indispensabile per attaccare i manifesti di Rita Hayworth ai muri e vivere decentemente. I sogni di Antonio riassunti in quel conteggio di paghe e straordinari fatte in trattoria con il figlio Bruno (sotto l’occhio supponente e razzista del bambino ricco che mangia la mozzarella in carrozza) si stanno volatilizzando per il gesto di un altro disperato, povero ed epilettico, protetto perfino dalle prostitute in una “casa chiusa”. Senza la bicicletta i sogni si stanno scollando pezzo a pezzo dai muri, come manifesti appiccicati male.
La bravura degli sceneggiatori è la costruzione a piramide del film tutta convogliata nel giustificare in parte il gesto disperato dell’uomo e nello spostare il punto di vista sugli occhi del figlio.
Lo sguardo del piccolo Bruno (che la mdp segue da sinistra verso destra in maniera impeccabile) che registra il patetico furto del padre e il successivo linciaggio della folla (The Crowd ultimo film muto di King Vidor del 1928 è la fonte di ispirazione di De Sica sia per Sciuscià che per Ladri di Biciclette) è uno dei momenti più alti di tutto il cinema del dopoguerra. De Sica non è Rossellini, naturalmente. Ma in questo film è perfetto.
Alberto Sordi doppia il verniciatore di biciclette a Porta Vittoria.
Determinante la scelta di affidarsi ad attori non professionisti, sostituendo Cary Grant con Lamberto Maggiorani e utilizzando il piccolo Enzo Staiola in maniera cinica (sul set venne fatto piangere sul serio da un irreprensibile e determinato Vittorio De Sica).





Cazzo, il paragone con La folla fu la prima cosa che mi venne in mente, dopo aver visto il magnifico film di Vidor. Il quale, stupendo in maniera esponenziale per la versatilità nell'utilzzare la cinepresa come mezzo di "fuga" e di "emersione", ha ispirato fortemente il De Sica di Ladri di biciclette , per i motivi che hai brillantemente esposto (e devo dire che, rapportando entrambi i lavori ai tempi in cui furono realizzati, La folla fu ancora più orgasmico: la scena della ripresa del grattacielo, con la mdp che lo "scala" letteralmente, entramdo nella finestra a mostrare il Mondo del lavoro, affollato e strabordante di personalità rinchiuse nei ranghi e all'oscuro, ha avuto probabilmente anche una speculare influenza sul Metropolis di Lang, propio nella rappresentazione del "ceto", pur con intenti e significati leggermente differenti, dal momento che si collocano cronologicamente a distanza di un anno l'uno dall'altro).

Ma, tornando al capolavoro di De Sica, ci sono un paio di cosette che mi piacerebbe aggiungere per completare la tua interessante analisi.
La figura centrale e non secondaria del bambino, a mio avviso, dà l'imput al "Cinema filtrato attraverso la testimonianza", che dà adito a sua volta a risvolti metaforici da non trascurare. Andrej Tarkovskij - anni ed anni dopo, parlando di Cinema in generale esenza connotazioni idologiche o attinetti a questa piuttosto che a quell'altra corrente di pensiero - scriveva che, nella Settima arte, lo spettatore, invece che essere tale, smette di rapportarsi all'opera con quel tipico distacco che lo porta a giudicarla come un esterno, ma incomincia a sentirsi un vero e prorpio testimone degli eventi narrati. Così li vive in prima persona.
Ecco, dal mio punto di vista il Cinema neorealista di Ladri di biclette , I bambini ci guardano o Il ferroviere , il quale non prescinde minimamente da quella componente narrativa che è la visione da parte di un bambino che riformula la realtà attraverso una voce fuori campo (quando non il pensiero), spesso vuole rappresentare la metafora della pura innocenza di uno spettatore che esce da un periodo di drammi vissuti e sofferti senza averne colpa, e che almomento del dopo guerra si ritrova catapultato in una società in affanno, composta per lo più da relitti umani e in balia delle pietre pericolanti di qualche rudere lasciato allo scoperto. Lo spettatore del Cinema neorealista è il vero testimone di uno dei momenti più duri dell'Italia. Un testimone silenzioso e capace di atribuire alo stesso film a cui assiste più di un singificato, ma sempre chiudendosi in un mutismo cervellotico e particolarmente denso di pensieri. Così lo sguardo del bambino e quello dello spetattore si fondono, fino ad assumere il medesimo significato, ad esternare le stesse reazioni, di fronte ad una realtà che si fa Cinema per la sua linearità narrativa e per la sua esasperata drammaticità, ma anche, per contro, osservando un Cinema che si fa realtà per la sua cruda oggettività ed il suo distaccato sguardo obiettivo. Lo spettatore osserverà il film, la verità, il reale attraverso uno sguardo dimesso ed accantonato di Bruno. Il quale potà comprendere le sofferenze del padre - e quindi dell'uomo adulto - solamente fino ad un certo punto. Ed in effetti il popolo dell'Italia del dopoguerra è letteralmente frastornato, incolpevole ed impotente di fronte alla pesantezza del dramma, così come lo è il ragazzino di questo (e di altri) film.
E proprio la delusione finale è il momento più acuto di immedesimazione del pubblico con Bruno. Una delusione, però, smentita subito, prontamente, dal preponderare del sentimento, del coinvolgimento e dell'esperienza visiva (oculare, per continuare ad utilizzare la terminologia inerente al concetto di "testimonianza")accumulata nel corso dell'opera, rispetto a quella folla urlante che, al contrario, giudica senza conoscere i fatti.

E' in effetti interessantissimo l'aspetto da te introdotto, che riguarda proprio l'opprimente presenza del "collettivo", del "generale", di tutto ciò che, insomma, si rifà proprio al concetto di "folla", a discapito del singolo protagonista, vitima di questa invadenza.
Aspetti resi mirabilmente dalle capacità letterarie di Zavattini e dello stesso regista (qui, in qualità di sceneggiatore), proprio nella scrittura del soggetto e dei dialoghi, in cui emerge la sconfitta e linsanabile frattura fra l'individuo e la gente: concetti che De Sica sottolinea eccezionalmente con la sua regia solo all'apparenza incline all'eccessivo realismo: nel folto gruppo iniziale, fra la gente che attende di ottenere un posto di lavoro, il protagonista non è affatto compreso e viene fatto rientrare da lontano. Ma anche gli spazi hanno un ruolo essenziale, in questo senso: bianchi brillanti e neri profondi, che separano i personaggi e fli oggetti stessi. Ed è bellissimo vedere come De Sica riesca, con la sola ripresa del suo attore non professionista, a "staccarlo" rispetto a quel mondo di cui egli non si sente parte, come a sfalsare la sua dimensione, le sue vicende, rispetto a quelle di un pianeta che continua a girare indipendentemente dalle sue sofferenze, con scenari appiatiti di case ferme e lapidarie sulo sfondo, da cui il rpotagonista rimane irrimediabilmente scisso.
Ed atraverso squarci ancora più acuti e geniali - come nel drammatico inseguimento del ladro, che si conclude tristemente senza vincitori nè vinti, solamente con uno sguardo, attraverso l'attenta soggettiva di De Sica, verso il vuoto" simnboleggiato da una lunga e scura galleria - il regista sa ottenere il massimo perfino dal contrasto fra i suoni così rauchi e disturbanti di una città caotica che annienta il singolo (clacson e campane non aiutanto di certo l'uomo a riconcilarsi con se stesso, ma qui sono rumori molesti, veri nemici per la mente e per il cuore) a quelli di una colonna sonora melodiosa e per nulla, a suo modo, ancorata al quello spoglio realismo di cui si dice tutto il film sia impregnato.

_________________
L'amico Fritz diceva che un film che ha bisogno di essere commentato, non è un buon film . Forse, nella sua somma chiaroveggenza, gli erano apparsi in sogno i miei post.

[ Questo messaggio è stato modificato da: Richmondo il 14-05-2008 alle 16:29 ]

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oronzocana

Reg.: 30 Mag 2004
Messaggi: 6056
Da: camerino (MC)
Inviato: 14-05-2008 16:03  
bravo rich. Scrittura pulita ed esaustiva, mai magniloquente.

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Partecipare ad un'asta, se si ha il Parkinson, può essere una questione molto costosa.
Michael J. Fox
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eltonjohn

Reg.: 15 Dic 2006
Messaggi: 9472
Da: novafeltria (PS)
Inviato: 16-05-2008 20:20  
Non lo so se è un capolavoro, sicuramente se fossi costretto a rivederlo reagirei più o meno come Fantozzi con la Corrazzata Potiomkin
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Riminesi a tutti gli effetti...a'l'imi fata!

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dan880

Reg.: 02 Ott 2006
Messaggi: 2948
Da: napoli (NA)
Inviato: 17-05-2008 08:26  
un film vero, oltre che un capolavoro del cinema.

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nandrolone

Reg.: 06 Set 2005
Messaggi: 75
Da: . (MC)
Inviato: 17-05-2008 19:14  
uhm... più che a un capolavoro somiglia a una merda
_________________
e il comitato sa che fa? manda la pubblicità taratarataratà

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Redneck

Reg.: 13 Apr 2008
Messaggi: 147
Da: Lubbock Texas (es)
Inviato: 17-05-2008 21:08  
quote:
In data 2008-05-17 19:14, nandrolone scrive:
uhm... più che a un capolavoro somiglia a una merda



Si, poi il bambino che che urla Ah Babà! Ah babà! Verrebbe voglia di consegnarlo ad Erode...

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